Ora, vi è da chiedersi quale sia per l’organo gestorio la condotta da tenersi a seguito dell’avvenuta conoscenza della insorgenza della causa di scioglimento di cui alla fattispecie in commento, al di là dell’obbligo di porre in essere le formalità di cui all’art. 2484, comma 3, c.p.c.
A tal proposito si è soliti dire che, in ossequio a quanto previsto dall’art. 2486 c.c., fino al momento del passaggio di consegne fra amministratori e liquidatori i primi sono tenuti ad una gestione dell’ente che si limiti alla conservazione ed alla integrità del valore del patrimonio sociale. Nulla è detto, però, circa cosa si intenda per gestione conservativa della società, dato che tale espressione – fatta salva la chiara esclusione della possibilità di porre in essere operazioni di gestione straordinaria qualora tale potere sia stato precedentemente delegato dall’assemblea dei soci all’organo gestorio – si presta ad una molteplicità di letture. Si tratta di un tema di estrema importanza, anche per le ricadute che esso è suscettibile di generare, atteso che, a norma dell’art. 2486, comma 1, c.p.c., gli amministratori che dovessero contravvenire a tale dettato legislativo sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi. Tuttavia, lo stesso art. 2486 pur potendo apparentemente essere utile a chiarire meglio la condotta attesa dall’organo gestorio, contribuisce, in realtà, a rendere più ostica una sua chiara individuazione. Il nuovo terzo comma di tale norma, anch’esso introdotto con l’approvazione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, dispone che dall’importo del danno calcolato in ossequio all’applicazione dei criteri previsti nel medesimo articolo (e su cui infra al par. 3), vadano «detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento».
Nella fattispecie posta all’attenzione del supremo collegio, la sentenza della Corte d’Appello di Roma impugnata aveva ritenuto che le operazioni contestate all’amministratore successivamente alla perdita del capitale sociale, non contrastassero con il divieto di “intraprendere nuove operazioni” (espressione che richiama la formulazione dell’art. 2447 ante-riforma disciplinante la medesima fattispecie) in quanto si trattava di commesse ed acquisti che la società effettuava sistematicamente ogni anno. La Suprema Corte con l’ordinanza in commento ritiene, al contrario, che la abitualità di tali operazioni «sia assolutamente inidonea ad evidenziare la natura conservativa delle stesse, apparendo piuttosto idonea a suffragare la tesi della curatela secondo cui, nonostante si fosse verificata una causa di scioglimento della società, quest’ultima, noncurante, aveva continuato ad operare con le stesse modalità operative del passato».
Dunque, sebbene il ricorso per cassazione fosse stato incardinato già in data antecedente alla introduzione del terzo comma dell’art. 2486, possiamo ragionevolmente affermare che il “criterio di normalità” individuato dal legislatore non potrà essere interpretato nel senso che la società per la quale si sia verificata una causa di scioglimento possa esser condotta secondo logiche di continuità aziendale. Ciò in quanto, a modo di vedere di chi scrive, verificatasi la causa di scioglimento il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato alla realizzazione dello scopo sociale, ma passa dall’essere promessa di garanzia dei creditori sociali ad oggetto di liquidazione per la concreta soddisfazione di questi.
Neppure però sembra corretto pretendere che con il verificarsi di una causa di scioglimento tutta l’attività sociale cessi di colpo, pena l’imposizione di ulteriori perdite del valore aziendale dovute alla cessazione dell’attività d’impresa nonché l’esposizione della società stessa ad azioni risarcitorie promosse da controparti contrattuali dei rapporti in essere in tale momento.
Muovendo da tali considerazioni, il riferimento all’“operatività normale” e alla “gestione conservativa della società” staranno ad indicare che mentre l’adempimento di obblighi assunti in un momento antecedente al verificarsi della causa di scioglimento rappresenterà una condotta degli amministratori non suscettibile di provocare danno all’ente, al contrario tutte quelle nuove iniziative caratterizzate dall’assunzione di nuovo rischio d’impresa dovranno ritenersi contrarie al disposto normativo.