In giurisprudenza si rinviene negli ultimi anni la tendenza ad escludere l’esistenza di profili elusivi, e ciò nei casi in cui la cessione delle quote della target ad una newco sia accompagnata dal carattere di un sostanziale disinvestimento da parte del cedente. Questo filone è rinvenibile anche in dottrina, dove si è sostenuto che nel caso in cui il soggetto cedente autore della rivalutazione si trovi a fuoriuscire dalla compagine sociale della target, o quantomeno a ridurre fortemente la propria presenza, l’operazione dovrebbe qualificarsi come legittima e non abusiva.
È questo il caso di CTP Vicenza, sent. 735/02/2016. Nel caso in discussione i soci di una società target avevano rivalutato le proprie partecipazioni pagando l’imposta sostitutiva del 4%. Successivamente, dopo aver costituito una newco il cui capitale risultava rappresentato dagli stessi soci secondo le medesime quote di partecipazione da questi detenute nella target, cedevano a quest’ultima società le partecipazioni rivalutate, senza che emergessero plusvalenze tassabili. Il pagamento del prezzo per la cessione veniva previsto in quattro rate annuali. Pochi giorni dopo la cessione, la target emetteva obbligazioni e distribuiva un significativo dividendo alla newco – nel frattempo assurta al ruolo di holding – la quale utilizzava le somme ricevute per pagare parzialmente il debito nei confronti dei soci. La CTP di Vicenza, accogliendo il ricorso dei contribuenti, ha rinvenuto giustificate ragioni extra-fiscali, escludendo sia che il conferimento sarebbe stato l’atto più idoneo, sia che il contratto posto in essere integrasse una vendita con sé stessi. L’elusività è stata inoltre esclusa in quanto l’operazione “non sarebbe stata finalizzata all’elusione fiscale bensì al riassetto di tutte le società del gruppo, in considerazione del prossimo trapasso della gestione delle imprese alla terza generazione della famiglia, nonché in vista della cessione a terzi di rami di azienda o di società operative”. E’ stato dato rilievo da parte della CTP alla volontà dei ricorrenti di procedere ad una riorganizzazione del gruppo secondo modalità che sono state ritenute conformi all’obbiettivo.
Altra sentenza interessante, seppur non motivata con l’approfondimento che avrebbe meritato, è la sent. n. 792/4/2015 sempre della CTP di Vicenza. Rilevata nei fatti, anche in quel caso, la volontà dei soci di realizzare una effettiva ristrutturazione societaria, sostiene la CTP che “le modalità con le quali tale risultato poteva essere conseguito” – conferimento invece che cessione a titolo oneroso – “non possono essere sindacate di per sé”.
Entrambi gli orientamenti riportati nelle sentenze citate appena sopra, cono ripresi e confermati anche da CTP Bergamo 342/1/2017. In questa interessante sentenza viene presa in esame una delle ipotesi maggiormente a rischio di contestazione da parte dell’ente accertatore, il merger leveraged cash-out, fattispecie nella quale alla rivalutazione e cessione delle quote della target ad una newco con medesime compagini sociali iniziali della target, segue la fusione per incorporazione di quest’ultima nella newco. Nel caso di specie, la rivalutazione di quote di una snc target successivamente cedute ad una srl newco avente quale socio di maggioranza il medesimo soggetto – cessione alla quale era seguita la stipula di un mutuo fondiario da parte della newco la cui erogazione era preponderantemente deputata ad estinguere il debito nei confronti del socio cedente – era seguita dalla fusione per incorporazione della target nella newco. Ebbene anche in tale caso, il giudicante ha ritenuto che delle tre condizioni richieste perché possa configurarsi abuso del diritto (assenza di sostanza economica nelle operazioni effettuate, realizzazione di un indebito vantaggio fiscale e sua essenzialità) nessuno fosse riscontrabile nel caso di specie. Il perseguimento di una razionalizzazione della gestione societaria è “finalità volta al conseguimento di effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali: i quali possono essere, al più, derivati dalla scelta concreta degli strumenti negoziali adottati, che peraltro non mostrano alcun connotato di incoerenza fra la qualificazione delle singole operazioni (cessioni di quote, fusione di società) e il fondamento giuridico del loro insieme, né alcuna difformità rispetto alle normali logiche di mercato”. La Commissione risponde inoltre alle allegazioni dell’ente accertatore secondo cui il contribuente avrebbe potuto realizzare medesimi effetti seguendo possibilità alternative quali la fusione senza concambio tra le due società, ovvero nella liquidazione della snc con acquisto dell’immobile da parte della srl. La Commissione osserva che “Le alternative indicate, peraltro, non si segnalano per una maggiore coerenza fra le transazioni prospettate e il fondamento giuridico dell’insieme, né per una migliore aderenza alle logiche del mercato, bensì solamente per il maggior carico fiscale che ne sarebbe conseguito”. Altra osservazione interessante del giudicante è quella secondo la quale “la cessione delle quote di partecipazione nella snc […] ha avuto quale unica acquirente la srl […]; la quale essendo una società di capitali, ha personalità giuridica distinta da quella dei singoli soci e non può in alcun modo identificarsi con […] per quanto questi sia amministratore unico e titolare della quota maggioritaria”.
Il medesimo caso appena esaminato, a distanza di poche settimane è stato nuovamente oggetto, sebbene per annualità diverse, del vaglio della CTP di Bergamo, questa volta della sezione terza. La sentenza 27/3/2017, pur prendendo le mosse dalle stesse premesse di fatto, arriva a conclusioni di diritto diametralmente opposte, avendo il giudicante della terza sezione rilevato che “dalle operazioni di cui trattasi sono effettivamente derivate conseguenze negative per le società: riduzione del netto patrimoniale, a motivo dell'indebitamento della […] per l'accensione del mutuo bancario contratto al fine di reperire le risorse finanziarie per liquidare il socio […], e disavanzo di fusione. In capo al socio X sono derivati, per contro, indubbi vantaggi fiscali indebiti in quanto le operazioni di cui sopra, così come sono state congegnate, hanno consentito allo stesso di sottrarsi alla tassazione di riferimento prevista per la distribuzione di dividendi” .
Pertanto, con ragionamento specularmente inverso, il giudicante prende le mosse dall’assenza di motivi extra-fiscali – che nella sentenza di alcune settimane precedente erano stati invece senza esitazioni individuati nelle esigenze di riorganizzazione del gruppo societario – per rinvenire nella fattispecie un esame un contratto con se stessi finalizzato, per mezzo di un utilizzo improprio della rivalutazione ex art. 5 L. 448/2001, ad ottenere un indebito risparmio d’imposta su somme che dovevano essere trattate come utili e non come redditi diversi.
Vanno segnalati, inoltre, gli unici due recentissimi precedenti di legittimità che affrontano la fattispecie in esame: Cass. Sez. Tributaria, ord. n. 7359 del 17 marzo 2020 e Cass. Sez. Tributaria, ord. n. 25131 del 16 settembre 2021. Tali precedenti risultano concordi nel rimarcare che la presenza di apprezzabili ragioni economiche extrafiscali consente di escludere che il risparmio di imposta sostenuto con la sequenza di operazioni sopra genericamente riferita (v. par. 1) sia qualificabile come indebito. Nell’ordinanza 25131/2021 si legge che “i giudici di secondo grado, con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede se non nei limiti ristretti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, hanno riconosciuto la sussistenza di valide ragioni economiche, individuate nell’esigenza di regolamentare, attraverso una più razionale e confacente riorganizzazione dell’assetto societario, la liquidazione delle quote sociali dei soci che non fossero più interessati alle sorti del gruppo”; con ciò rinvenendo, dunque, la sicura presenza di ragioni extrafiscali che escludono l’indebito risparmio di imposta.