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Recenti approdi giurisprudenziali in materia di operazioni di cash-out

1.

Cash-out:
Ipotesi operativa

Con la dizione leveraged cash-out si individua quel complesso di operazioni, tutte perfettamente legittime se considerate individualmente, attraverso il quale è possibile ottenere un risparmio fiscale nella distribuzione del patrimonio accumulato da una persona giuridica.

Provando a fare un esempio, ciò è quanto accadrebbe nel caso in cui venissero poste in essere le seguenti operazioni:

  1. costituzione di una società di capitali, che chiameremo newco, la cui compagine sociale risulti speculare a quella della società che detiene utili e che chiameremo target;
  2. i soci persone fisiche della società target effettuano la rivalutazione delle proprie partecipazioni in essa detenute per mezzo del pagamento dell’imposta sostitutiva prevista dall’art. 5 della Legge 448 del 28 dicembre 2001, secondo l’aliquota in vigore;
  3. a seguito della rivalutazione, i soci persone fisiche cedono alla società newco – generalmente senza che vi sia alcun pagamento contestuale, ma con pagamento dilazionato nel tempo – le partecipazioni della società target da loro detenute. La cessione viene effettuata per un ammontare pari a quello risultante dalla rivalutazione operata secondo il punto che precede, di modo che le plusvalenze realizzate rispetto al “valore di acquisto” risultino fiscalmente neutre;
  4. la società target, a questo punto interamente controllata dalla società newco, delibererà la distribuzione di dividendi che – per effetto di quanto previsto dall’art. 89 del TUIR – saranno esclusi da tassazione per il 95%;
  5. una volta percepiti i dividendi, la società newco utilizzerà gli stessi per estinguere il debito verso i propri soci per la cessione delle partecipazioni della target;
  6. nella variante di leveraged cash out conosciuta come merger leveraged cash out, vi è un ultimo passaggio nel quale si verifica la fusione per incorporazione della società target all’interno della società newco.

2.

La posizione
dell’Agenzia delle Entrate

Con riferimento alla struttura di cui al paragrafo che precede, l’Agenzia delle Entrate è solita rilevare profili di elusività.

Nel caso in cui le operazioni descritte abbiano quale unico e solo motivo giustificatore il risparmio d’imposta, tanto che qualora questo fosse assente nessuna delle attività sarebbe stata posta in essere (come ad esempio nel caso di operazioni di cash-out che si concludano con la fusione per incorporazione della società le cui quote sono state oggetto di rivalutazione), l’Agenzia ravvisa strategie di elusione pura.

Anche nel caso di operazioni nelle quali la società newco non venga fusa e, quindi, permanga e venga successivamente investita della funzione di società holding (ad esempio per detenere partecipazioni presenti e future, oppure per effettuare attività di cash pooling consistenti nell'accentramento della gestione delle disponibilità finanziarie di un gruppo societario) l’Agenzia tende a rinvenire profili elusivi. Secondo l’Erario, infatti, il contribuente anziché utilizzare il negozio giuridico più confacente rispetto al fine perseguito – ossia il conferimento all’interno della società newco delle partecipazioni detenute nella società target – si avvale in maniera tortuosa ed impropria di un diverso negozio giuridico, ovvero la cessione di partecipazioni, senza tuttavia volerne perseguire lo scopo giuridico proprio, che è l’alienazione della partecipazione.

Altro aspetto che stando alle posizioni assunte dal riscossore lascia subodorare la presenza di profili elusivi nell’operazione delineata è la considerazione secondo la quale l’intera struttura messa in piedi viene a tradursi in una mera vendita a sé stessi delle partecipazioni rivalutate. La conclusione di un contratto di compravendita in assenza di animus alienandi porterebbe, sempre secondo questa opinione, ad individuare una importante anomalia, tale da escludere l’applicabilità dei commi 3 e 4 dell’art. 10 bis L. 212/2000 (Statuto del contribuente). 

3.

Ruolo della rivalutazione del valore delle partecipazioni

Altra questione sulla quale si è ampiamente discusso, è l’utilizzo della possibilità di affrancamento di quote e partecipazioni detenute in società di capitali per scopi che, nel caso di specie, fuoriuscirebbero dal tracciato per il quale l’agevolazione è stata concepita. Ed infatti, è impossibile negare che elusività del disegno sopra prospettato, dipenda in larga parte dal giudizio che si esprime con riferimento alla compatibilità dell’operazione con il risparmio d’imposta che si ottiene per mezzo della rivalutazione.

Il combinato disposto dell’art. 2, comma 2, D.L. n. 282/2004, dell’art. 5, L. 448/2001 e da ultimo dell’art. 29 del D.L. 1 marzo 2022, prevede la facoltà di scontare sulle plusvalenze individuate dall’art. 67, comma 1, lettere c) e c-bis) del TUIR, una imposta sostitutiva pari al 14% da scontarsi sul valore del patrimonio netto della società di cui si posseggono quote o partecipazioni, determinato sulla base di una perizia giurata di stima. Così facendo, in caso di cessione delle partecipazioni possedute, la eventuale plusvalenza tassabile ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettere c) e c-bis) del TUIR, si determinerà per mezzo della differenza fra corrispettivo ricevuto e costo fiscale rivalutato. Questo valore rivalutato andrà ad assumere la veste di parametro di riferimento ogni qualvolta si verifichi un evento capace di far emergere plusvalenze rilevanti ex art. 67 e qualora il prezzo di cessione corrisponderà al prezzo rivalutato non vi sarà plusvalenza tassabile.

4.

Giurisprundenza: valorizzazione dell’elemento organizzativo

In giurisprudenza si rinviene negli ultimi anni la tendenza ad escludere l’esistenza di profili elusivi, e ciò nei casi in cui la cessione delle quote della target ad una newco sia accompagnata dal carattere di un sostanziale disinvestimento da parte del cedente. Questo filone è rinvenibile anche in dottrina, dove si è sostenuto che nel caso in cui il soggetto cedente autore della rivalutazione si trovi a fuoriuscire dalla compagine sociale della target, o quantomeno a ridurre fortemente la propria presenza, l’operazione dovrebbe qualificarsi come legittima e non abusiva. 
È questo il caso di CTP Vicenza, sent. 735/02/2016. Nel caso in discussione i soci di una società target avevano rivalutato le proprie partecipazioni pagando l’imposta sostitutiva del 4%. Successivamente, dopo aver costituito una newco il cui capitale risultava rappresentato dagli stessi soci secondo le medesime quote di partecipazione da questi detenute nella target, cedevano a quest’ultima società le partecipazioni rivalutate, senza che emergessero plusvalenze tassabili. Il pagamento del prezzo per la cessione veniva previsto in quattro rate annuali. Pochi giorni dopo la cessione, la target emetteva obbligazioni e distribuiva un significativo dividendo alla newco – nel frattempo assurta al ruolo di holding – la quale utilizzava le somme ricevute per pagare parzialmente il debito nei confronti dei soci. La CTP di Vicenza, accogliendo il ricorso dei contribuenti, ha rinvenuto giustificate ragioni extra-fiscali, escludendo sia che il conferimento sarebbe stato l’atto più idoneo, sia che il contratto posto in essere integrasse una vendita con sé stessi. L’elusività è stata inoltre esclusa in quanto l’operazione “non sarebbe stata finalizzata all’elusione fiscale bensì al riassetto di tutte le società del gruppo, in considerazione del prossimo trapasso della gestione delle imprese alla terza generazione della famiglia, nonché in vista della cessione a terzi di rami di azienda o di società operative”. E’ stato dato rilievo da parte della CTP alla volontà dei ricorrenti di procedere ad una riorganizzazione del gruppo secondo modalità che sono state ritenute conformi all’obbiettivo. 
Altra sentenza interessante, seppur non motivata con l’approfondimento che avrebbe meritato, è la sent. n. 792/4/2015 sempre della CTP di Vicenza. Rilevata nei fatti, anche in quel caso, la volontà dei soci di realizzare una effettiva ristrutturazione societaria, sostiene la CTP che “le modalità con le quali tale risultato poteva essere conseguito” – conferimento invece che cessione a titolo oneroso – “non possono essere sindacate di per sé”. 
Entrambi gli orientamenti riportati nelle sentenze citate appena sopra, cono ripresi e confermati anche da CTP Bergamo 342/1/2017. In questa interessante sentenza viene presa in esame una delle ipotesi maggiormente a rischio di contestazione da parte dell’ente accertatore, il merger leveraged cash-out, fattispecie nella quale alla rivalutazione e cessione delle quote della target ad una newco con medesime compagini sociali iniziali della target, segue la fusione per incorporazione di quest’ultima nella newco. Nel caso di specie, la rivalutazione di quote di una snc target successivamente cedute ad una srl newco avente quale socio di maggioranza il medesimo soggetto – cessione alla quale era seguita la stipula di un mutuo fondiario da parte della newco la cui erogazione era preponderantemente deputata ad estinguere il debito nei confronti del socio cedente – era seguita dalla fusione per incorporazione della target nella newco. Ebbene anche in tale caso, il giudicante ha ritenuto che delle tre condizioni richieste perché possa configurarsi abuso del diritto (assenza di sostanza economica nelle operazioni effettuate, realizzazione di un indebito vantaggio fiscale e sua essenzialità) nessuno fosse riscontrabile nel caso di specie. Il perseguimento di una razionalizzazione della gestione societaria è “finalità volta al conseguimento di effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali: i quali possono essere, al più, derivati dalla scelta concreta degli strumenti negoziali adottati, che peraltro non mostrano alcun connotato di incoerenza fra la qualificazione delle singole operazioni (cessioni di quote, fusione di società) e il fondamento giuridico del loro insieme, né alcuna difformità rispetto alle normali logiche di mercato”. La Commissione risponde inoltre alle allegazioni dell’ente accertatore secondo cui il contribuente avrebbe potuto realizzare medesimi effetti seguendo possibilità alternative quali la fusione senza concambio tra le due società, ovvero nella liquidazione della snc con acquisto dell’immobile da parte della srl. La Commissione osserva che “Le alternative indicate, peraltro, non si segnalano per una maggiore coerenza fra le transazioni prospettate e il fondamento giuridico dell’insieme, né per una migliore aderenza alle logiche del mercato, bensì solamente per il maggior carico fiscale che ne sarebbe conseguito”. Altra osservazione interessante del giudicante è quella secondo la quale “la cessione delle quote di partecipazione nella snc […] ha avuto quale unica acquirente la srl […]; la quale essendo una società di capitali, ha personalità giuridica distinta da quella dei singoli soci e non può in alcun modo identificarsi con […] per quanto questi sia amministratore unico e titolare della quota maggioritaria”. 
Il medesimo caso appena esaminato, a distanza di poche settimane è stato nuovamente oggetto, sebbene per annualità diverse, del vaglio della CTP di Bergamo, questa volta della sezione terza. La sentenza 27/3/2017, pur prendendo le mosse dalle stesse premesse di fatto, arriva a conclusioni di diritto diametralmente opposte, avendo il giudicante della terza sezione rilevato che “dalle operazioni di cui trattasi sono effettivamente derivate conseguenze negative per le società: riduzione del netto patrimoniale, a motivo dell'indebitamento della […] per l'accensione del mutuo bancario contratto al fine di reperire le risorse finanziarie per liquidare il socio […], e disavanzo di fusione. In capo al socio X sono derivati, per contro, indubbi vantaggi fiscali indebiti in quanto le operazioni di cui sopra, così come sono state congegnate, hanno consentito allo stesso di sottrarsi alla tassazione di riferimento prevista per la distribuzione di dividendi” .
Pertanto, con ragionamento specularmente inverso, il giudicante prende le mosse dall’assenza di motivi extra-fiscali – che nella sentenza di alcune settimane precedente erano stati invece senza esitazioni individuati nelle esigenze di riorganizzazione del gruppo societario – per rinvenire nella fattispecie un esame un contratto con se stessi finalizzato, per mezzo di un utilizzo improprio della rivalutazione ex art. 5 L. 448/2001, ad ottenere un indebito risparmio d’imposta su somme che dovevano essere trattate come utili e non come redditi diversi.
Vanno segnalati, inoltre, gli unici due recentissimi precedenti di legittimità che affrontano la fattispecie in esame: Cass. Sez. Tributaria, ord. n. 7359 del 17 marzo 2020 e Cass. Sez. Tributaria, ord. n. 25131 del 16 settembre 2021. Tali precedenti risultano concordi nel rimarcare che la presenza di apprezzabili ragioni economiche extrafiscali consente di escludere che il risparmio di imposta sostenuto con la sequenza di operazioni sopra genericamente riferita (v. par. 1) sia qualificabile come indebito. Nell’ordinanza 25131/2021 si legge che “i giudici di secondo grado, con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede se non nei limiti ristretti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, hanno riconosciuto la sussistenza di valide ragioni economiche, individuate nell’esigenza di regolamentare, attraverso una più razionale e confacente riorganizzazione dell’assetto societario, la liquidazione delle quote sociali dei soci che non fossero più interessati alle sorti del gruppo”; con ciò rinvenendo, dunque, la sicura presenza di ragioni extrafiscali che escludono l’indebito risparmio di imposta. 

5.

Conclusioni

Volendo dunque fare un sunto delle diverse posizioni espresse dall’AdE nei procedimenti contenziosi apertisi a seguito di accertamenti su operazioni di leveraged cash out, gli elementi individuati come sintomatici di un disegno elusivo sono i seguenti:

  1. Cessionaria delle quote rappresentata da società di nuova costituzione;
  2. Il prezzo di compravendita non viene corrisposto immediatamente per intero, né il credito è garantito da alcun tipo di garanzia;
  3. Non corrispondenza fra reale valore delle partecipazioni e corrispettivo della cessione (quest’ultimo è invece parametrato sul flusso reddituale atteso dai dividendi che verranno distribuiti);
  4. Termini di pagamento e clausole contrattuali a tutela del cedente che non vengono poi fatte rispettare;
  5. Contestualità o arco di tempo molto ravvicinato per porre in essere tutte le fasi dell’operazione (affrancamento delle partecipazioni – stipula del contratto di cessione delle stesse– distribuzione dividendi);

Quest’ultimo elemento, in particolare, sembra essere – agli occhi dell’accertatore – il principale campanello d’allarme nell’individuazione di fattispecie elusive secondo lo schema esaminato. In caso contrario, infatti, quando fra la rivalutazione delle partecipazioni e la loro cessione dovesse trascorrere un periodo di tempo significativo, diverrebbe difficile provare che l’originaria rivalutazione fosse solo il primo passo del socio finalizzato successivamente appropriarsi del valore economico dell’impresa cui le quote rivalutate sono riferibili, con l’ulteriore obiettivo dell’aggiramento della tassazione sulla percezione dei dividendi. In tale situazione, occorrerebbe dimostrare che gli utili distribuiti in un secondo fossero già “in pancia” alla società al momento della rivalutazione e che gli stessi siano ivi rimasti dormienti solo in attesa del compimento del disegno elusivo dei soci o del socio di maggioranza.

Con riferimento invece a quanto possibile desumere dalla scarna giurisprudenza reperibile in materia di operazioni di cash out, l’elemento che sembrerebbe essere stato ritenuto dirimente dalle corti di merito che si sono pronunciate sul punto, ai fini della genuinità o della elusività di simili operazioni, è rappresentato dalla sussistenza o meno di connotati di riorganizzazione della compagine sociale. Sarebbe a dire cioè che, laddove siano presenti apprezzabili ragioni economiche non meramente finalizzate al risparmio di imposta (riorganizzazione degli assetti proprietari, predisposizione di uno scenario che consenta l’uscita dalla compagine sociale a coloro che non vogliano proseguire nell’attività d’impresa, ecc…), l’operazione sarà da ritenersi perfettamente legittima pur in presenza di un evidente consistente risparmio sotto il profilo della tassazione della stessa. Ciò in quanto non sussiste alcun obbligo per il contribuente di dover preferire fra più possibili schemi negoziali quello caratterizzato dalla maggiore onerosità fiscale. 

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