Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, precedute in quest’opera ricognitiva dall’ordinanza di rimessione al Primo Presidente, hanno innanzitutto passato in rassegna il quadro dottrinale e giurisprudenziale di riferimento.
Quanto alla dottrina, viene dato atto di tre distinti orientamenti, espressioni di un diverso grado di apertura verso l’ammissibilità dei contratti post-matrimoniali.
Un primo indirizzo manifesta una chiusura pressoché totale verso simili soluzioni, per cui le intese raggiunte tra le parti nell’ambito dei procedimenti di composizione della crisi coniugale non dovrebbero eccedere il loro contenuto tipico e necessario, bensì rimanere circoscritte agli aspetti inerenti ai rapporti dei genitori con la prole (affidamento e mantenimento dei figli) nonché ai rapporti patrimoniali tra le parti (mantenimento, se ne ricorrano le condizioni). Sarebbero, dunque, del tutto estranei a tale contenuto necessario i patti volti all’immediato trasferimento di diritti reali immobiliari, mentre sarebbe il notaio l’unico soggetto abilitato dall’ordinamento giuridico a ricevere simili negozi giuridici, a nulla potendo rilevare che l’atto traslativo sia stato necessitato dalla crisi coniugale.
Un secondo orientamento, invece, sebbene affermi la teorica ammissibilità dei patti traslativi di diritti reali immobiliari attuati nell’ambito della separazione consensuale o del divorzio congiunto, predilige una struttura comunque bifasica dell’operazione in ragione dell’elevato rischio di errori invalidanti correlati agli adempimenti e alle verifiche richiesti per i trasferimenti immobiliari (indicazioni urbanistiche, attestazione di prestazione energetica e certificazione catastale). In questa prospettiva, le intese tra le parti, raggiunte nel contesto del procedimento volto alla composizione della crisi coniugale, dovrebbero essere solo costitutive di un obbligo a contrarre ex art. 1351 c.c. in vista della stipula dell’atto traslativo, quest’ultima da riservarsi all’ambito notarile in adempimento dell’obbligo in precedenza assunto.
Un terzo orientamento, infine, ammette in toto i contratti della crisi coniugale, chiaramente atipici, ma volti a perseguire uno scopo ritenuto meritevole di tutela dall’ordinamento giuridico ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c. Si sostiene, in altri termini, la necessità di dare piena attuazione all’autonomia privata e, in questo ambito, alla volontà delle parti di dare una sistemazione finale e complessiva ai rapporti patrimoniali nel momento della liquidazione del rapporto coniugale, anche quando questo scopo venga attuato mediante il trasferimento di diritti, con o senza controprestazione.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, quanto alla giurisprudenza invece, danno atto della sostanziale antinomia tra le corti di merito e la quasi totalità dei precedenti di legittimità.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, pur in relazione a fattispecie concrete assai variegate tra loro, si è largamente consolidata nel senso dell’ammissibilità dei contratti della crisi coniugale, anche quando volti a realizzare effetti immediatamente traslativi di diritti reali mobiliari o immobiliari. L’accordo di separazione consensuale è qualificato come un negozio di diritto familiare, espressamente previsto dagli artt. 150 e 158 c.c. e disciplinato, quanto agli aspetti formali, dall’art. 711 c.p.c., il quale, tra l’altro, prevede che esso sia documentato nel processo verbale sottoscritto dal cancelliere ex art. 126 c.p.c. e che acquisti l’efficacia a seguito della omologazione da parte del tribunale: ne sarebbe soddisfatta, dunque, la forma scritta e la pubblica fede ex art. 2699 c.c. (in quanto atto ricevuto dal cancelliere) ed esso diverrebbe valido titolo per la trascrizione ai sensi dell’art. 2657 c.c. una volta omologato (Cass. 15 maggio 1997, n. 4306). Diverse successive pronunce si sono poste nel solco di quella appena citata ed hanno predicato la legittimità dei contratti della crisi coniugali, anche ove contenenti reciproche attribuzioni patrimoniali di beni mobili o immobili, perché rispondenti generalmente ad uno specifico spirito di sistemazione dei rapporti occasionata dalla vicenda della crisi matrimoniale (ex multis Cass. 25 ottobre 2019, n. 27409 e, in epoca poco anteriore, Cass. 15 aprile 2019, n. 10443 nonché, in anni più risalenti, Cass. 23 marzo 2004, n. 5741; Cass. 26 luglio 2005, n. 15603; Cass. 14 marzo 2006, n. 8516; contra solo Cass. 8 marzo 1995, n. 2700). La Corte di Cassazione, dunque, ha ripetutamente opinato che la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare, il quale si caratterizza per un contenuto tipico e necessario (che è rappresentato dal consenso dei coniugi a vivere separati, dalle decisioni inerenti all’affidamento e al mantenimento della prole nonché, in caso, al mantenimento in favore del coniuge svantaggiato) e per un contenuto eventuale, che è un semplice incidente della separazione, poiché in essa trova occasione, e che è dato da quegli accordi del tutto autonomi che i coniugi raggiungono in vista ed in funzione della instaurazione di un regime di vita separata (Cass. 30 agosto 2019, n. 21839; Cass. 19 agosto 2015, n. 16909). Si afferma in tali arresti che l’autonomia del contenuto eventuale dell’accordo di separazione consensuale fa sì che esso neanche soggiaccia alla possibilità di modifica ex art. 710 c.p.c., istituto circoscritto al solo contenuto tipico ed essenziale. A chiusura della rassegna, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione evidenziano come «È indifferente, in definitiva, nella giurisprudenza di questa Corte, la modalità con la quale il regolamento di interessi avvenga, purché esso sia idoneo a garantire un soddisfacente assetto dei rapporti tra le parti – per un futuro nel quale la convivenza coniugale si avvia verso un esito di separazione o di scioglimento – in tempi ragionevoli che consentano di chiudere la crisi al più presto, quanto meno sul piano economico. Ed in tale prospettiva, - come in seguito si dirà – lo strumento più adeguato si palesa proprio il trasferimento immobiliare definitivo (…)».
La giurisprudenza di merito, invece, si è attestata su posizioni contrastanti con quelle costantemente predicate dalla Corte di Cassazione, mostrando una certa ostilità verso l’impostazione aperturista. I tribunali e le corti distrettuali, muovendo dalla distinzione tra contenuto necessario e contenuto eventuale degli accordi di separazione, hanno predicato, a larghissima maggioranza, che il contenuto eventuale non possa in nessun caso recare patti immediatamente traslativi di diritti reali immobiliari, rispetto ai quali l’art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52 avrebbe concentrato in capo al solo notaio, a pena di nullità dell’atto, tutte le verifiche concernenti l’identificazione catastale e la conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto dell’immobile. Il verbale dell’udienza di comparizione personale dei coniugi, ancorché riproduttivo delle intese raggiunte tra le parti e anche se sottoscritto dal cancelliere ex art. 126 c.p.c., non costituirebbe né atto pubblico né scrittura privata autenticata, bensì una scrittura privata semplice, la cui efficacia nei confronti dei terzi sarebbe condizionata alla necessaria reiterazione del contratto nella forma dell’atto pubblico notarile o della scrittura privata autenticata, ai fini della trascrizione ai sensi dell’art. 2657 c.c. (Trib. Milano 21 maggio 2013, in Fam. e dir., 2014, 600 ss.; Trib. Milano 6 dicembre 2009, in Fam. e dir., 2011, 937; Trib. Napoli 16 aprile 1997, in Fam. e dir., 1997, 420; Trib. Firenze 29 settembre 1989, in Riv. not., 1992, 595). Bisogna dare atto, però, anche di un indirizzo di merito che si è mosso nel solco tracciato dai precedenti di legittimità, secondo cui il trasferimento immobiliare, contenuto nel verbale di comparizione dei coniugi, in quanto sottoscritto dal cancelliere ai sensi dell’art. 126 c.p.c., riveste la forma di un atto pubblico, dotato di fede privilegiata ex art. 2699 c.c., ed acquista, dopo l’omologazione di cui all’art. 711 c.p.c., la sua efficacia e diviene titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c. (App. Milano 12 gennaio 2010, in Fam. e dir., 2011, 589; Trib. Salerno 4 luglio 2006, in Fam. e dir., 2007, 63; App. Genova 27 maggio 1997, in Dir. fam. e pers., 1998, 572; Trib. Pistoia 1° febbraio 1996, in Riv. not., 1997, 1421).